Peccato Originale: Vaticano, Orlandi, De Pedis e le solite cose trite e ritrite da Nuzzi

di Pino Nicotri
Pubblicato il 11 Novembre 2017 - 07:19 OLTRE 6 MESI FA
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“Peccato originale”, il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi

ROMA – Soldi, sangue e sesso: questi i tre filoni che il giornalista Gianluigi Nuzzi dichiara di avere seguito nel suo ultimo libro. Intitolato “Peccato originale” e col sottotitolo “Conti segreti, verità nascoste, ricatti: il blocco di potere che ostacola la rivoluzione di Francesco”, il libro ha la pretesa di  risolvere vari misteri vaticani, compreso soprattutto il mistero Orlandi e il presunto mistero della morte di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, il cui pontificato nel 1978 durò solo 33 giorni e si concluse con la sua chiacchieratissima morte. Nuzzi adombra il solito vecchio sospetto che Luciani sia stato in realtà ucciso, sospetto basato su chiacchiere, ma che ha fatto la fortuna del romanziere David Yallop.

“Soldi, sangue e sesso”, dunque, terna che fa venire in mente quella del  “sesso, droga e rock’d roll” di moda negli anni ’60-’70 per indicare stravizi di vario tipo e natura. Per sfortuna di Nuzzi, alla sua domanda se papa Luciani  sia stato ucciso ha risposto negativamente e definitivamente proprio in questi giorni un libro molto documentato, che, come spiega lo stesso titolo – Papa Luciani. Cronaca di una morte – nelle sue 252 pagine si occupa minuziosamente proprio della ricostruzione di come e perché è morto Giovanni Paolo I. Il libro è stato scritto dalla giornalista Stefania Falasca, vaticanista de L’Avvenire d’Italia, che tra molto altro pubblica il documento risolutivo e fino a oggi ignoto stilato dal medico del Papa, dottor Renato Buzzonetti, che fuga ogni dubbio. Falasca inoltre ha raccolto anche una serie di testimonianze inedite, compresa quella della suora Margherita Marin, che oggi ha 76 anni e all’epoca dei fatti era la più giovane delle suore venete a servizio di Luciani. E’ la religiosa che all’alba del 29 settembre 1978 è entrata nella camera da letto di Papa Luciani subito dopo suor Vincenza Taffarel, che assisteva Luciani da oltre 20 anni. Suor Marin rivela che il  famoso caffè, col quale Luciani a detta di qualche “bene informato” sarebbe stato avvelenato, non è mai stato neppure assaggiato: è rimasto nella tazzina, intatto, nella sagrestia dove alle 5:30 del mattino era stato portato come al solito per il pontefice.

Veniamo ora al piatto forte del mistero Orlandi. E’ strano che Nuzzi cerchi di rispondere oggi a domande alle quali ha già dato risposte secondo lui certe e definitive già quasi cinque anni fa, per l’esattezza la sera del 26 febbraio 2013. Quella sera infatti lo stesso Nuzzi ha presentato su La7 la prima delle puntate da lui dedicate al mistero Orlandi affermando:

“Non possiamo più sbagliare. Sono lì le risposte di quello che è stato un intricato mistero su scala mondiale”.

Ma evidentemente non è bastato se dopo cinque anni torna alla carica per giunta riproponendo la stessa minestra riscaldata. Quel “lì” dove secondo il Nuzzi del 26 febbraio 2013 c’erano le risposte al mistero Orlandi è la basilica romana di S. Apollinare, diventata famosa perché nei suoi sotterranei sconsacrati era sepolto Enrico De Pedis, che certo giornalismo sensazionalista ha promosso al rango di “boss della Banda della Magliana” alla faccia di tutte le sentenze che hanno escluso che ne fosse anche un sia pur semplice gregario, tant’è che è morto incensurato: forse malavitoso, ma estraneo alla banda. Come è noto, la magistratura ha  escluso che in quei sotterranei e in quella sepoltura ci fosse qualcosa di illecito e addirittura collegato al mistero Orlandi. Che la sepoltura fosse legittima e non avesse risvolti torbidi lo ha appurato già negli anni 1995-’97 il magistrato Andrea De Gasperis.

Inizialmente De Pedis era stato sepolto al Verano, nella tomba di famiglia della sua consorte, Carla Di Giovanni, che però temendo atti vandalici da parte dello stesso ambiente malavitoso che aveva ucciso suo marito il 2 febbraio 1990, decise di trasferire la salma nella basilica dove si erano sposati. E che distando solo 200 metri dal proprio  luogo di lavoro, le rendeva più comodo le frequenti visite alla tomba per deporre fiori e pregare. Ma come se niente fosse il “mistero della sepoltura del boss” è stato rilanciato con una telefonata anonima da “Chi l’ha visto?” nel settembre 2005 e ha tenuto banco per anni.

Archiviata nuovamente dalla magistratura assieme all’intera inchiesta nata nel 2008 a seguito proprio delle “rivelazioni” di “Chi l’ha visto?”,  la faccenda della basilica di S. Apollinare e della sepoltura di De Pedis viene ancora rimestata in “Peccato originale”. Ma per farlo si ricorre a varie notizie e fatti non veri, già tirati in ballo cinque anni fa dallo stesso Nuzzi nella citata puntata de La7,  che è ormai arcinoto essere dubbi, anche perché più d’uno lo ha fatto presente al conduttore giornalista de La7:

1) –  NON è vero che i corsi di musica del conservatorio Ludovico Da Victoria frequentati da Emanuela Orlandi si tenevano nella basilica. Si tenevano invece, come ovvio, nella sede del conservatorio, che si trovava in uno dei piani alti del palazzo continuo, e la basilica non c’entrava assolutamente nulla.

2)  – NON è vero quindi che Emanuela la sera in cui è scomparsa è uscita a fine lezione dalla basilica, presentata di fatto come una sorta di tana dell’orco pronto a sbranare giovani virgulti. Come attestano le testimonianze, Emanuela è uscita dal conservatorio e ne è uscita assieme agli altri studenti.

3) – NON è vero che nella basilica sono sepolti, “assieme al boss De Pedis cardinali, papi e santi”. Nella basilica NON è sepolto neppure un cardinale, tanto meno papi e santi. E il cosiddetto “boss della Banda della Magliana” era sepolto in un sotterraneo sconsacrato da decenni – ex cimitero prenapoleonico con oltre 50 mila ossa conservate alla rinfusa in centinaia di cassette metalliche – che l’allora rettore don Piero Vergari voleva trasformare anziché in magazzino in stanze per una  ventina di sepolture per altrettanti fedeli man mano che fossero passati a miglior vita.

4) – NON è vero che la telefonata tra don Vergari e un giovane aspirante seminarista birmano, nuovamente citata da Nuzzi nel suo libro, è una telefonata a luci rosse di don Vergari, presentato come un vizioso omosessuale, per irretire il giovane. Ascoltandola si capisce bene che don Vergari, che si trova non ella basilica ma a casa sua a Sigillo,  cerca invece educatamente di non dar corda alle fantasie del suo interlocutore. Che poi don Vergari sia o no gay, sta di fatto che nulla gli è mai stato addebitato in questo campo da chicchessia.

Il birmano si chiama Htwe Khin Maung, nato nel ’71 e diventato “don Firmino”. Interrogato il 23 dicembre 2009 dai magistrati Giancarlo Capaldo e Simona Maisto, ha spiegato che la sua telefonata era uno scherzo. In effetti i seminaristi usavano prendere un po’ in giro don Vergari per la sua presunta omosessualità. Il verbale della testimonianza di Maung è contenuto nella cartella n. 4071787 delle oltre 833 dell’inchiesta Orlandi archiviata nel 2015.

Riguardo le “inesattezze” su De Pedis, del quale si occupa in più di 20 pagine, sulla basilica, sul conservatorio e sulla banda della Magliana (cui le sentenze della magistratura, Cassazione compresa, NON attribuiscono neppure da lontano il ruolo di grande piovra romana onnipresente e onnipotente), Nuzzi non si è fatto mancare niente. Non si è fatto mancare neppure la storia, meglio sarebbe definirla storiella, raccontata dal film di Roberto Faenza “La verità sta in cielo”  e riguardante “la trattativa e il patto” tra il Vaticano e il sostituto procuratore Giancarlo Capaldo, che conduceva l’inchiesta sulla fine di Emanuela. A proposito della presenza della sepoltura di De Pedis nella basilica e conseguenti mormorii e malignità, Nuzzi scrive:

“Insomma, il «disagio» per «sospetti» e «pettegolezzi» era tale che se i giudici si fossero presi la briga di rimuover loro la salma, come raccontava il film di Roberto Faenza «La verità sta in cielo», il Vaticano dopo anni di reticenze avrebbe discretamente fornito tutto ciò che sapeva. Un patto che dopo la traslazione della salma e l’esame di 409 cassette e 52.188 ossa umane per cercare eventuali tracce della quindicenne sparita, sfumò com’è noto nel nulla”.

Su questo argomento ci sono da dire due cose, che mettono in dubbio alla grande sia Faenza sia chi lo copia:

– la salma di De Pedis non poteva essere trasferita se non per decisione della vedova, che però, sollecitata più volte dalla Gendarmeria del Vaticano, chiedeva a Capaldo, sempre invano, che PRIMA se ne esaminasse il contenuto onde evitare che poi si potesse dire che l’aveva fatta traslare per nascondere chissà che cosa. Quando finalmente la Procura della Repubblica ha imposto a Capaldo di fare aprire la tomba, la vedova ha provveduto a trasferire la salma per poi procedere alla sua  cremazione.

– Non è possibile che ci sia stata una trattativa tra il Vaticano e Capaldo, per il semplice motivo che – come posso DIMOSTRARE – Capaldo ha chiesto a un giornalista – il sottoscritto – di trovargli un canale vaticano che lo mettesse in contatto con la Segreteria di Stato, richiesta fatta – si noti bene – DOPO lo spostamento della salma. Ciò significa, evidentemente, che Capaldo NON aveva nessun contatto vaticano per stipulare il patto “che sfumò come è noto nel nulla”.

Non mancano neppure le “forzature” ai danni di documenti giudiziari. “Peccato originale” riporta infatti il testo scritto dalla polizia dell’intercettazione della telefonata partita dal Vaticano il 12 ottobre 1993 per il suo vicecapo della Vigilanza, ingegner Raul Bonarelli.  Telefonata riguardo la quale Nuzzi scrive:

“Tra i diversi episodi, un’imbarazzante intercettazione telefonica del 12 ottobre 1993 tra il gendarme vaticano Raul Bonarelli e un uomo da lui chiamato «Capo», identificato poi in Camillo Cibin, ispettore del corpo della Gendarmeria, che all’epoca si chiamava Vigilanza del Vaticano. È una giornata cruciale, siamo alla vigilia dell’interrogatorio che Bonarelli deve rendere all’autorità giudiziaria italiana sulla vicenda Orlandi.

Cibin: Ho parlato con Sua Eccellenza Bertani… E dice… per testimone, e dici quello che sai… che sai della Orlandi? Niente! Noi non sappiamo niente!… Sappiamo dai giornali, dalle notizie che sono state portate fuori! Del fatto che è venuto fuori di competenza… è… dell’Ordine Italiano.

Bonarelli: Ah, così devo dire?

[….]

Cibin: …questa è una cosa che è andata poi… non dirlo che è andata alla Segreteria di stato»”.

A parte il fatto che fino al 2 gennaio 2002 Bonarelli non era ancora un gendarme, ma un vigile vaticano (la Gendarmeria è stata infatti creata solo in quella data, prima c’era la Vigilanza, con compiti più o meno analoghi), si dà però il caso che, stando agli atti processuali, l’inizio della telefonata – cominciata alle 19:53 tra una persona rimasta sconosciuta e perciò indicata semplicemente come Uomo dal brogliaccio della polizia – NON è quello riportato da Nuzzi, bensì il seguente:

“Raul Bonarelli: «Pronto?».
Uomo: «Raoul!».
Raul: «Sì!».
Uomo: «Adesso ti passo il Capo, eh!».

Raul: «Sì! Pronto!».

Capo: «Chi parla?».

Raul: «È Bonarelli».

Come si vede, NON è affatto noto chi ha chiamato Bonarelli né chi sia il Capo. E’ inoltre piuttosto difficile che Cibin, capo della Gendarmeria, chiami Eccellenza un semplice sacerdote privo di incarichi particolari come don Bertani, anche se don Bertani ha il titolo onorifico di Cappellano di Sua Santità.

PARENTESI. Questa telefonata, della cui scoperta e del merito di averla pubblicata per primi  se ne appropriano disinvoltamente Nuzzi e altri, è stata pubblicata su L’Espresso da Roberto Chiodi nel 1998, qualche mese dopo che l’allora giudice istruttore Adele Rando aveva chiuso con un nulla di fatto nel dicembre ’97 la sua istruttoria sul mistero Orlandi. Passata inosservata e dimenticata da tutti, quella telefonata l’ho ripescata e pubblicata nei miei libri sul mistero Orlandi a partire dal primo nel 2002, aggiungendo il nome di monsignor Bertani perché avevo appurato che al telefono c’era lui.

CHIUSA LA PARENTESI.

Poiché la telefonata è stata fatta solo la sera prima che Bonarelli venisse interrogato come testimone dal magistrato Adele Rando, è piuttosto arduo pensare che in Vaticano siano così sprovveduti  da ridursi a istruire Bonarelli così tardi anziché catechizzarlo ben prima su cosa dovesse e non dovesse dire al giudice. E’ inoltre ovvio che se dovevano istruirlo su come mentire su fatti gravissimi, cioè su chi avesse fatto sparire Emanuela, lo avrebbero fatto non per telefono, ma direttamente in Vaticano: lontani da orecchie e intercettazioni indiscrete. In Vaticano non sono certo degli ingenui, tanto meno la Gendarmeria e tanto meno ancora la Segreteria di Stato.

Insomma, per quanto quella telefonata sia suggestiva, perché chiede di non dire che del mistero Orlandi s’è interessata in qualche modo anche la Segreteria di Stato, non può avere il significato che le viene attribuito. Significato che peraltro le ho attribuito anch’io all’inizio, cioè a dire ben 15 anni fa. Se “la cosa è andata alla Segreteria di Stato vaticana” ci è andata evidentemente perché era questa che doveva vagliare le rogatorie internazionali dei magistrati italiani smistandole alla magistratura vaticana prima e inviandone poi gli atti giudiziari vaticani di risposta al ministero degli Esteri italiano. Il misterioso Uomo chiede di tacere sulla Segreteria, ma la richiesta può essere stata fatta anche perché il Vaticano comunque non ama, come del resto qualunque altro Stato, l’eccessiva trasparenza agli occhi di altri Stati e annesse magistrature giudiziarie.

Peraltro la Segreteria potrebbe anche, in ipotesi, avere appurato che fine ha fatto Emanuela per mano – come sempre capita quando spariscono minorenni – di persone del giro amical-familiare. Ma anche in tal caso avrebbe fatto scandalo che abitanti del Vaticano frequentassero gente capace di violentare e uccidere: meglio quindi tacere anche se il colpevole non è una personalità del Vaticano.

Visto che parliamo di magistratura vaticana, è ben strano come TUTTI, a partire da “Chi l’ha visto?” e a finire all’ultimo libro di Nuzzi, si guardino bene dallo scrivere che il Magistrato Unico del Vaticano, avvocato Gianluigi Marrone, era anche il capo dell’Ufficio legale della Camera dei deputati della repubblica italiana e che in tale ufficio la sua segretaria era Natalina Orlandi, sorella di Emanuela. Come ho scritto in libri e molti articoli, Marrone in versione vaticana rispondeva sempre “No!” alle richieste dei magistrati italiani di poter interrogare alcuni prelati su cosa sapessero riguardo la scomparsa della sorella di Natalina, sua segretaria. Ma la sua segretaria Natalina non ha mai avuto nulla da ridire, mai battuto ciglio sui “No!” firmati dal suo capufficio. Fatto non meno sorprendente della telefonata attribuita a Cibin.

Alla stessa stregua tutti tacciono, da “Chi l’ha visto?” a Nuzzi, su quanto don Salerno ha detto a proposito dei “soldi sporchi”  maneggiati allo IOR da Pietro Orlandi. Ed è comunque strano che nessuno gli faccia mai neppure una domanda sullo IOR nonostante sia ben noto che Pietro Orlandi vi ha lavorato per anni e anni, a partire dal 1984, qualche mese dopo la scomparsa di Emanuela. Domande che invece gli andrebbero fatte se non altro perché, come scrivono anche lo stesso Nuzzi e vari altri,  nella banca vaticana IOR si riciclavano soldi di origine malavitosa e una miriade di personaggi italiani, non tutti presentabili, vi avevano i conti correnti per sfuggire al fisco. Tant’è che il Vaticano almeno fino a poco tempo fa non ha ottenuto il certificato di banca al riparo dal riciclaggio. Il certificato in questione è rilasciato da Moneyval, l’organo istituito dal Consiglio d’ Europa per valutare la virtuosità dei Paesi, compreso il Vaticano, in fatto di leggi e iniziative antiriciclaggio del danaro sporco, in particolare quello fatto con il commercio delle droghe. E non si ha notizia che sia infine stato rilasciato allo Stato pontificio.

Come si vede, motivi per porre a Pietro Orlandi domande sullo IOR ce n’è più di uno, visto che lui ne è oltretutto un testimone diretto. Invece tutti zitti, nessuno fiata.

Nuzzi preferisce sbizzarrirsi su quella che chiama “la lobby gay”, alla quale ha dedicato l’omonimo apposito capitolo. Oltre a riportarvi la vecchia e malinterpretata telefonata del giovane birmano a don Vergari, “Peccato originale”  riporta fatti pruriginosi più recenti, come il gay party a base di cocaina in un appartamento nello stesso palazzo dell’ex Sant’Uffizio, oggi Congregazione per la Dottrina della Fede, e le convinzioni dell’ex comandante delle guardie svizzere, Elmar Theodor Mäder, secondo il quale addirittura

“esiste in Vaticano una lobby gay talmente potente da essere pericolosa per la sicurezza del pontefice”.

Sulla lobby gay Nuzzi appone il suggello di Papa Francesco, riportando quanto avrebbe dichiarato il 6 giugno 2012 a religiosi sudamericani. Dichiarazioni che, ammesso che siano state riportate correttamente dai sudamericani, Papa Francesco ha però in seguito ridimensionato.

“Soldi, sangue e sesso” sono comunque i tre fili seguiti da Nuzzi perché

“annodandosi tra loro costituiscono una fitta trama d’interessi opachi, violenze, menzogne, ricatti, e soffocano ogni cambiamento”,

provocando così

“lo stallo nel quale sono cadute le riforme di Francesco”.

Quali siano le riforme volute da Francesco non è dato sapere. Ma del resto, mi si perdoni l’accostamento improponibile dei nomi, anche Eugenio Scalfari, l’ateo innamorato di Papa Francesco e con un occhio anche all’amore libertino, pur accreditando al “suo” pontefice un grande piano riformatore, vera e propria rivoluzione nel Vaticano e nella Chiesa, pur definendolo un rivoluzionario non ha mai saputo indicare bene quali siano Il Manifesto e i programmi dell’asserita rivoluzione.

Difficile che libri simili, basati sulle solite cose trite e ritrite, quale che sia il loro successo di vendite creino davvero problemi al Vaticano e annessi “blocchi di potere”. Martin Lutero e S. Francesco, che in Vaticano ci sono stati, il primo perché ci ha anche lavorato e il secondo per sottoporre, inutilmente, nel 1209 a Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana, ne  sono usciti mettendosi le mani nei capelli. Tant’è che il primo al grido di “Loss von Rom!” (Via da Roma!) ha creato lo scisma protestante e il secondo  per protesta s’è messo a predicare ancor più la povertà fondando nello stesso anno l’ordine dei francescani. Che per un bel pezzo al Vaticano non è andato  affatto a genio.